Il
voto cattolico cala, l’influenza delle gerarchie cresce
di
Felice Mill Colorni
Risulta
da ogni
indagine in materia, anche da quelle condotte da sociologi molto
organicamente
collegati alla gerarchia cattolica, che il comportamento elettorale
degli
italiani non è più da molti anni orientabile
dalla Chiesa cattolica, se non in
misura ormai insignificante. Sulla base di una caterva di dati
statistici
aggregati e univoci, l’annuale rapporto sulla
secolarizzazione di Critica
liberale (ahimè, è vero che siamo sofisticati;
grazie comunque della menzione)
testimonia che l’Italia è da tempo un paese molto
più secolarizzato che
cattolico: “terra di missione” (come un tempo
l’Africa da cui oggi devono
importare i preti), avevano riconosciuto realisticamente i vescovi
già
trent’anni fa, dopo il referendum sull’aborto.
Infatti, ormai da anni, piuttosto
che gli elettori, le gerarchie preferiscono impegnarsi a orientare il
sistema
politico-mediatico, cosa che riesce loro molto meglio. Il fatto
è che, per
quanto ormai regredite allo stadio larvale rispetto alla potenza di
sessant’anni
fa, le organizzazioni cattoliche ancora esistono, a differenza di un
tessuto
associativo e organizzativo laico praticamente dissolto. E la politica
apprezza
i gruppi organizzati di elettori, anche minimi, molto più
dell’elettorato di
opinione, tanto che si è conficcata, soprattutto
nell’immaginario del Pd,
l’inestirpabile credenza che per vincere bisogna conquistare
il “centro” e che
il centro, non si sa perché, sarebbe soprattutto il luogo
dei cattolici
(spalmati, invece, uniformemente, su tutto l’arco elettorale).
Per
quel che riguarda
Monti, in ogni caso, il sostegno delle gerarchie a me sembra
soprattutto mirato
a far dimenticare il prima possibile, ora che B sembra politicamente
moribondo
ed è quindi inservibile, l’ignominioso sostegno
assicuratogli fin quasi
all’ultimo e senza il minimo ritegno; e del resto lautamente
retribuito. A dir
la verità, nell’agenda Monti non
c’è il minimo accenno ai diritti civili e alle
questioni “controverse”, su cui, a precisa domanda,
Monti ha anzi risposto
nella conferenza stampa dell’altro ieri che restano fuori dal
perimetro delle
questioni su cui si fonda la sua coalizione e la sua proposta di
governo. Perfino
meglio così, a mio parere, piuttosto che i
“compromessi alti” del Pd. Se a
sostegno di Monti ci fosse stata la lista unica, il taglio cattolico
integralista, con la presenza dell’Udc, sarebbe stato
inevitabile. Con più
liste, dipenderà da da chi saranno i candidati nei diversi
collegi,
evidentemente. Ma la stessa cosa vale anche per il Pd, dove le
posizioni di
Rosi Bindi sono più o meno agli antipodi di quelle di Civati.
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