Lettera di Felice Mill Colorni
pubblicata nella primavera del
2005 dal quotidiano Europa (data da verificare).
Nel 1977 venne arrestato dopo un
conflitto a fuoco con le forze dell'ordine il bandito Vallanzasca, che
per anni
con la sua banda di rapinatori e assassini aveva terrorizzato Milano e
l'Italia. Ferito, circondato dai carabinieri che lo avevano appena
arrestato,
Vallanzasca venne esibito in diretta Tv ai giornalisti in una specie di
improvvisata conferenza stampa. Erano gli anni di piombo, e molti
delinquenti
comuni cercavano in quel clima politico-culturale improbabili
giustificazioni
sociologiche per i loro crimini. A un giornalista che gli chiedeva "Si
considera un prigioniero politico?", il bandito diede questa lapidaria
e
memorabile risposta: "Non diciamo cazzate".
Vallanzasca non cercò giustificazioni,
non tentò di delegittimare i suoi giudici o di ostacolare o
trascinare per le
lunghe i processi, non si atteggiò a vittima, non si disse
perseguitato perché
altri rapinatori erano ancora a piede libero, non pensò
neppure di buttarla (o
di buttarsi) in politica, tanto meno si sognò di rivendicare
medaglie per i
suoi misfatti. Mantenne fede fino in fondo al suo Beruf di
fuorilegge,
compì qualche ulteriore efferatezza in carcere, evase
nuovamente e fu
nuovamente arrestato. Oggi sconta il suo ergastolo con l'asciutto
stoicismo che
ne ha sempre caratterizzato la condotta.
Quella
sua risposta, al momento dell'arresto, resta una lezione imperitura di
deontologia, serietà e orgoglio professionali, una lezione
oggi purtroppo
dimenticata da una malavita molto più sofisticata, capace di
straordinarie
ascese sociali, ma che sembra avere smarrito i valori di un tempo.
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