Gli
svantaggi e i danni di un’eventuale introduzione del
bipartitismo nell’Italia di oggi
di
Felice Mill Colorni
A
me pare che qualunque
sistema elettorale deve fare i conti con la situazione, i rapporti di
forza, e
il potere di avviamento, dei partiti esistenti al momento della sua
introduzione. E la caratteristica di fondo di ogni bipartitismo
è di creare la
sostanziale incontendibilità – o la difficilissima
contendibilità – delle due
posizioni dominanti. In duecento anni di storia elettorale americana e
britannica – e nonostante i molti tentativi e spesso la
grande insoddisfazione
diffusa – è accaduto una sola volta negli Usa e
una sola volta in Gran Bretagna
che uno dei due partiti sia stato scalzato dalla sua posizione
dominante da un
terzo incomodo (e in Gran Bretagna questo ha significato la quasi
scomparsa dei
liberali). Oggi i poteri consolidati in Italia sono quelli delle
nomenclature
che hanno dato vita al Pd e del mostro populista creato da B. Ammesso
(ma è
tutto da vedere) che quest’ultimo sia in via di estinzione,
in caso di
introduzione di un sistema bipartitico in questo momento storico, a
prendere il
suo posto potranno essere verosimilmente soltanto o il partito
clericale
estremista di Casini (quello che ovunque nell’Europa
occidentale sarebbe
considerato tale) o il partito del nuovo pagliaccio di professione, che
potrebbe sostituire l’altro proveniente dai bassifondi della
cosiddetta “Prima
Repubblica” e che ha imperversato per 18 anni. E non
è affatto probabile che la
competizione si svolgerebbe al centro (tanto meno al centro laico, dopo
che per
decenni si è stoltamente sostenuto che il centro sarebbe il
luogo di ritrovo
dei clericali estremi), dato che negli ultimi tempi, in giro per il
mondo, le
elezioni si vincono più facendo il pieno dei propri voti
(quindi, rincorrendo
le ali estreme) che convincendo gli incerti.
Insomma, per l’Italia, almeno due altri decenni
da incubo.
Per
rendere un sistema
bipartitico aperto alla competizione di forze politiche nuove e
diverse, sarebbe
almeno necessario prevedere che una quota molto minoritaria di una
Camera –
diciamo 100 seggi – potesse essere eletta con la
proporzionale pura, anzi
purissima. In modo che, se in quella quota dovesse riuscire ad
affermarsi e
crescere una forza politica davvero nuova (e quindi priva di risorse
iniziali),
questa potrebbe poi sfidare i due dominanti nella preponderante quota
uninominale partendo da una soglia credibile accertata dal risultato
conseguito
nella quota proporzionale. L’alternativa mi sembra essere un
sistema politico chiuso,
in cui chi è dentro è dentro e chi è
fuori è fuori. Insomma, più o meno lo
stesso risultato che è perseguito sconciamente nelle
trattative in corso
adesso.
È
vero che io sono
sempre stato critico di tutte le riforme che accentuassero
anziché contenere il
peso della personalizzazione ulteriore del conflitto politico a
discapito della
discussione di progetti e principi, perché mi sembra che la
personalizzazione
porti inevitabilmente e solo alle palate di fango e al dossieraggio,
innescando
una spirale senza fine di discredito della democrazia rappresentativa.
Ma, nella
situazione italiana, i risultati dell’uninominale secca mi
sembra sarebbero
decisamente peggiori anche di quelli, tutt’altro che
esaltanti, cui si sta
riducendo la politica occidentale negli ultimi anni.
3 settembre 2012
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