La
lobby di Ruini ha barato
di Felice Mill Colorni
Sono riusciti a far mancare il quorum, e quindi a far
fallire i referendum. Ma non possono comunque dire né di
aver vinto, né di
essersi presi chissà quale rivincita sul divorzio e
sull’aborto. La possibilità
di vincere i clericali e la Chiesa cattolica ufficiale
l’hanno esclusa fin
dall’inizio, fin da quando, con qualche mese di anticipo,
hanno deciso che era
meglio squagliarsela, non accettare la sfida. Si sono acquattati, hanno
boicottato uno scontro che, secondo il verdetto univoco di tutti i
sondaggi, li
avrebbe visti fragorosamente sconfitti. Hanno messo nel conto, fin
dall’inizio,
che il loro miglior possibile risultato era che nessun risultato
venisse
raggiunto. Dato che loro, comunque, non avevano nessuna
possibilità di vincere,
meglio ribaltare il tavolo e far fallire il referendum.
Sommare l’astensionismo fisiologico nei
referendum (che
negli ultimi dieci anni già superava il 40%) e quello
dettato da indifferenza
per la politica in generale con quello motivato
dall’esplicita adesione alle
tesi del cattolicesimo ufficiale; abolire la segretezza del suffragio
in modo
da dissuadere efficacemente dal voto i cittadini soggetti a situazioni
ambientali e lavorative improntate ad un rigido controllo sociale (si
pensi
solo alla sterminata galassia di dipendenti, quasi sempre precari, del
“privato
sociale” a gestione cattolica); diffondere paure e allarmi
privi di qualunque
fondamento per rafforzare la diffidenza che tutti gli ignoranti senza
speranza
nutrono da sempre nei confronti della conoscenza scientifica e dei suoi
progressi; rendere incomprensibile il significato dei quesiti,
imbarcandosi in
complicate e noiosissime disquisizioni di carattere medico e biologico
miranti
soltanto ad occultare la sostanza etico-politica dei problemi in gioco;
innalzare ad ogni buon conto artificialmente il quorum trascurando
l’aggiornamento dell’anagrafe degli italiani
all’estero; utilizzare senza
scrupoli il fiume di danaro pubblico (ben altro che l’otto
per mille rimpolpato
con l’attribuzione delle “scelte non
espresse”) che viene ogni anno, e ogni
anno di più, sottratto alle tasche dei contribuenti e ai
servizi garantiti a
tutti i cittadini per riversarli nelle casse di quell’enorme
lobby politica,
economica, finanziaria, assistenziale e mediatica cui la spregiudicata
leadership
del cardinal Ruini ha ormai ridotto quasi senza residui la struttura
organizzativa e gerarchica della Chiesa cattolica italiana; fare, come
e più
che mai, l’uso sleale e privo di scrupoli di tutti i mezzi di
informazione che
ormai in Italia tutti sono abituati a considerare normale come
nell’Uzbekistan.
In tutto questo e solo in questo sono stati maestri e
“pastori”.
Si dovranno trarre da questa vicenda tutte le conseguenze
(e
anche tutte le lezioni) che sarà il caso di trarne, come
già abbiamo cominciato
a fare fin dallo scorso numero. Una prima di tutte: non si gioca con i
bari. Ma
una sola conclusione è radicalmente errata (e proprio per
questo è quella
ripetuta e affermata con maggior corrività e con
più belante sorpresa ed
entusiasmo): non c’è stata proprio nessuna
rivincita, la secolarizzazione non
ha fatto nessun passo indietro. Lo tengano bene a mente quelli fra i
“laici”
del centrosinistra più pronti a dichiararsi manchevoli della
“marcia in più” di
cui disporrebbe la lobby di Ruini e a trovare pretesti per ulteriori
atti di
servilismo e sempre nuove regalie a spese della nostra pari
dignità sociale e
delle nostre tasche. E ci provino, se ne hanno il coraggio, quelli
della lobby,
a indire nuovamente i referendum sul divorzio e sull’aborto:
se ci tengono
tanto agli zigoti, non dovrebbero essere meno sensibili alla sorte dei
feti.
Quelle sono state (lo sono ancora) le due sole volte in cui, in Italia,
laici e
clericali si siano davvero confrontati ad armi (quasi) pari e si siano
contati.
In entrambe le occasioni sono stati sonoramente sconfitti. Sono passati
ben più
dei cinque anni necessari per poterci riprovare. Noi, a differenza di
loro,
saremmo ben felici di contarci per davvero.
Inutile però illuderci, non ci conteremo. A
mancargli non sono
solo i voti, è anche l’afflato profetico in
materia degli attuali pastori della
Chiesa romana che non pare proprio all’altezza. Ne ha fornito
senza il minimo
imbarazzo uno squarcio rivelatore lo scorso 2 luglio uno statista molto
rappresentativo del livello civile degli attuali governanti e del
decoro delle
istituzioni che rappresentano (e al tempo stesso degno esponente della
nuova
Italia cattolica di Ruini), il ministro Gasparri: «mi
hanno chiamato dal Vaticano dopo che avevo sostenuto che la 194
è modificabile –
ha ricordato –
e mi
hanno detto: “una cosa alla volta”».
Inutile dire che l’orgoglioso
rappresentante della destra nazionale ha obbedito senza fiatare alla
consegna
giunta da un’autorità gerarchicamente superiore.
Lo proporremmo per un “premio Quintino
Sella” di prossima istituzione, se non ci trattenesse il
dubbio che magari lui
e i suoi sodali e dipendenti non sarebbero neppure in grado di cogliere
significato ed intenzioni di una tale designazione.
Dato che il
consenso non c’è, ma finché si parla di
zigoti morule e blastocisti si può
barare giocando la carta dell’ignoranza e
dell’indifferenza, non è il caso di
giocarsi il bluff
affrontando apertamente la partita meno equivocabile
dell’aborto.
E dei feti chi se ne frega: quel che importa è che il
pubblico, i media, i
politici orfani di antiche “culture forti” ormai
defunte e brancolanti nel buio
si convincano che si è voltato pagina, che la stagione dei
diritti liberali si
è conclusa, che l’Italia, sola fra i paesi
sviluppati, freme dalla voglia di
tornare fra le braccia di Santa Romana Chiesa. È una
sciocchezza mediatica?
Certo, ma non ha alcuna importanza: c’est le ton qui fait la musique.
E, dato che sui media la musica la fanno loro
e che non c’è il pericolo che nessuno vada a
vedere il bluff,
se l’“olocausto” dei feti
continuerà, poco male: non sarà certo una buona
ragione per mettere a
repentaglio il risultato di immagine acquisito il 12 giugno. Quel che
conta
sono la potenza della ditta di Ruini, le risorse che la politica le
metterà a
disposizione comunque vada, e la petulante onnipresenza mediatica dei
tanti
Gasparri della politica italiana.
Da
Critica liberale, n. 114, aprile 2005.
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