I
liberali per il NO
Con il referendum costituzionale del prossimo 25 giugno saremo chiamati
a
decidere se l’Italia deve rimanere, bene o male, una
democrazia liberale, o
trasformarsi in una repubblica plebiscitaria governata da un caudillo
carismatico, da un capopartito di fatto politicamente inamovibile per
cinque
anni, e libero nella sostanza di produrre danni senza limiti perfino se
dovesse
presto rivelarsi del tutto incapace o disonesto.
Non siamo nostalgici del sistema politico della cosiddetta
“Prima Repubblica”,
di cui siamo spesso stati, all’epoca, critici severi. Tanto
meno siamo
nostalgici delle culture politiche che vi prevalevano o del
“compromesso
storico” fra democristiani ed eredi del Pci. Siamo anche
consapevoli che la
Costituzione del 1948, in alcune sue parti, meriterebbe di essere
aggiornata, a
cominciare da un rafforzamento delle garanzie costituzionali, da
perseguirsi
innanzitutto attribuendo alla Costituzione una maggiore
rigidità, in modo da
sottrarla all’arbitrio di una mera maggioranza parlamentare.
Ma questa non è
certo una buona ragione per approvare l’inverosimile
intruglio che ci viene
proposto. E comunque crediamo che la riforma dell’attuale
pessima legge
elettorale, la restaurazione della certezza delle regole del gioco,
l’approvazione di una seria normativa sui conflitti di
interesse e sulla
libertà e sul pluralismo dell’informazione, il
risanamento della finanza
pubblica, la riattivazione della mobilità sociale, la lotta
alle mafie, il
rilancio del processo costituzionale europeo siano tutte urgenze
assolutamente
prioritarie rispetto ad ogni riforma costituzionale interna.
Ogni
riforma
costituzionale, comunque, dovrebbe essere, come in tutte le democrazie
liberali
a costituzione rigida, largamente condivisa dai principali schieramenti
politici: per quanto settoriale, per quanto in una prima fase approvato
dall’opposizione e quindi infinitamente meno grave
dell’attuale progetto di
nuova costituzione, abbiamo trovato profondamente sbagliato e
irresponsabile
anche il precedente stabilito nel 2001 dal centrosinistra con la
riforma del
titolo V, imposta a maggioranza con uno scarto di pochi voti.
Quanto
al
merito del testo su cui saremo chiamati a votare nel referendum,
severamente
criticato da quasi tutta la dottrina costituzionalistica italiana,
rileviamo
che esso si pone in radicale contrasto con almeno tre secoli di
costituzionalismo liberale. Il liberalismo è innanzitutto la
teoria dei limiti
del potere. Con la nuova costituzione il “Primo
Ministro” sarebbe il padrone di
una repubblica delle banane: padrone dello scioglimento della Camera,
ogni
potere politico gli sarebbe di fatto sottoposto, per almeno cinque
anni; o
anche per molti di più, dato che la drastica riduzione di
ogni serio argine al
suo potere, e quindi anche di ogni garanzia costituzionale, gli
consentirebbe,
verosimilmente, qualunque manomissione delle regole del gioco. Perfino
la Corte
costituzionale, massimo organo di garanzia dei diritti dei cittadini
contro gli
abusi della politica, vedrebbe largamente accresciuta la percentuale di
membri
di diretta nomina partitica (sette su quindici, anziché
cinque).
Più
ancora
che la distruzione dell’unità e della
solidarietà nazionali realizzate con la
cosiddetta “devolution”
e la
prevedibile esplosione della spesa pubblica (e quindi della pressione
fiscale)
che la moltiplicazione delle burocrazie locali non potrà che
comportare, e al
tempo stesso delle disuguaglianze, più che la prevedibile
paralisi del
procedimento legislativo determinata dalla complessa divisione di
compiti fra
le Camere con il sorgere sicuro di controversie paralizzanti fra le
Camere,
come pure fra lo Stato e le Regioni, più che
l’indebita attribuzione al Presidente
della Repubblica di compiti del tutto incongrui che ne
comprometterebbero il
ruolo di garante, peraltro svuotato da varie altre disposizioni, ci
spaventa
una tale concentrazione di poteri in un’unica persona,
assolutamente senza
precedenti in alcuna democrazia liberale al mondo.
A
tutti i
popoli capita, prima o poi, di eleggere alla massima carica politica un
individuo che può ben presto rivelarsi un ciarlatano, un
disonesto o anche
soltanto un inetto. Contro questo rischio la saggezza costituzionale
liberale
ha sempre previsto opportune difese. Con la nuova costituzione che ci
viene
sottoposta, l’Italia dovrebbe sopportare che un tale
politicante, chiunque egli
possa essere nel futuro, magari capace solo di condurre efficaci
campagne
elettorali, operi con pieni poteri politici per cinque anni, fino allo
sfascio
del paese: per fermarlo, la Camera non avrebbe altra
possibilità che quella di
provocare il proprio scioglimento (la maggioranza dei deputati dovrebbe
cioè
decidere di mettere in gioco la propria carriera politica).
Nessun popolo determinato a rimanere parte dell’Occidente liberale può accettare di mettere così irresponsabilmente a repentaglio le regole più elementari della democrazia e i diritti fondamentali dei cittadini.
Per questi
motivi riteniamo assoluto dovere civico di ogni cittadino consapevole
votare NO nel referendum del 25 giugno.
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