Pannella, Storace, i radicali e il Pd
di
Felice Mill Colorni
Molto spesso, quando
una persona invecchia, si mettono sul conto dell’età caratteristiche che
l’interessato ha sempre avuto, e che magari risultano soltanto un po’ più
evidenti e un po’ più ossessive. I radicali e Pannella hanno dato all’Italia un
decennio miracoloso, fra il ’66 e il ’76, con il divorzio, l’obiezione di
coscienza, l’aborto, la parità di condizioni per tutti i concorrenti alle
elezioni politiche. Poi sempre e
solo la spirale di un gioco al rialzo perpetuo e insostenibile, e, come
criterio, quasi solo il culto dell’Io, e solo cause, talvolta anche giuste,
rese ingiuste dallo schematismo e/o da un settarismo sempre più estremo.
Io la storia di questi giorni
l’avevo già vista, con Armando Plebe nel 1977, poi con l’estensione
retrospettiva delle polemiche contro il consociativismo dell’epoca del
compromesso storico all’intero antifascismo storico, poi nel rapporto,
enfatizzato ben oltre la cortesia reciproca, con Almirante. Con le cantonate su
Andreotti versus Moro, su Alibrandi versus Sarcinelli, ecc. ecc. ecc. Sempre e
solo per il gusto di sorprendere, di farsi trovare dove non ti aspetti, di far
parlare, a vanvera, di sé. Poi, soprattutto, con l’incredibile infatuazione per
il B del ’94.
«Quanto?», chiede la
Lepre sul sito di Critica liberale. Nulla, è
la sola risposta verosimile. Vanità, solo vanità. Anzi, vanitosità. È del poeta
il fin la meraviglia, la meraviglia fine a se stessa, anzi, fine a se stesso. Epater
les bourgeois, in permanenza. Ipertrofia dell’io,
senza alcun rapporto e alcun interesse per la storia, se non per la propria. La
storia non esiste, esiste solo il rapporto del resto del mondo con Io. E
purtroppo, con questo armamentario, si continua tuttavia a occupare un campo, a
picchettare un’area conquistata con un antico imprinting decenni prima, e si
diventa puro diserbante, si impedisce la crescita di altro. Si porta al macero,
si incenerisce sull’altare di Io, un’antica eredità un tempo conquistata, e da
decenni dispersa, sperperata, dilapidata. Una faccia, non la meno triste, della
tragedia del liberalismo in Italia negli ultimi decenni.
È appena il caso di
aggiungere che i nuovi avversari di Pannella non sono stati da meno. Escludere
dalla candidatura nella coalizione di centrosinistra i due consiglieri radicali
uscenti che avevano fatto scoppiare lo scandalo della regione Lazio è stato, da
parte del Pd, decisione di inarrivabile ottusità, un modo per mostrarsi pienamente
subalterni all’idea populista e ciarlatanesca oggi così in voga secondo cui
“sono tutti uguali”, secondo cui i ladri e chi li denuncia vanno messi sullo
stesso piano (anzi, i ladri, i conniventi, o i loro famigliari stretti, vanno
promossi dalla Regione in Parlamento o candidati sindaci). Pretendere la rottamazione
anche degli onesti altrui per rinnovare la politica non serviva neppure a
occultare il pieno coinvolgimento del centrosinistra nelle ruberie del Lazio. Per
il Pd laziale è stato un modo per cercare di estendere al sistema politico
locale tutto intero, cancellando anche le eccezioni, e alla politica in quanto
tale, la propria disastrosa bancarotta.
Pannella, alleandosi
con un campione di malgoverno ancor peggiore, e di fascismo mai rinnegato, come
Storace, è riuscito però a fare ancor peggio del Pd laziale. Per motivi
diversi, uno peggio dell’altro.
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