Meno
male
di Felice Mill Colorni
Meno male. Non ce la sentiamo proprio di dire di più. Dopo
cinque anni di
vergogna, di rovina delle istituzioni, di scandali e di scandalosi
tentativi di
soffocarli, di imbarbarimento civile, di dissesto finanziario, di
crollo della
competitività internazionale, di blocco degli investimenti
su ricerca e
innovazione, di impoverimento e disuguaglianze crescenti, di
illegalità
dilagante, di rimbambinimento generale, di perdita della memoria
storica, di
oscurantismo trionfante, di occupazione scientifica di ogni risorsa
pubblica,
di discredito internazionale, di fuoriuscita dall’Occidente
europeo: dopo tutto
questo, e dopo una campagna elettorale di una protervia, di una
irrazionalità,
di una volgarità e di una tracotanza mai viste, quasi
metà degli elettori
italiani (al Senato perfino un po’ più della
metà), sotto gli occhi sconcertati
e sgomenti degli altri europei, ha deciso di fare fiducia ancora una
volta a
Berlusconi e alla sua consorteria. Solo l’assoluta insipienza
dei “legislatori”
berlusconiani e delle loro innovazioni elettorali ha fatto
sì che, per qualche
migliaio di voti in Italia e per merito degli italiani
all’estero, il
berlusconismo non si sia trasformato definitivamente in regime,
conquistando
alla fine anche la Presidenza della Repubblica e travolgendo gli ultimi
freni e
contrappesi a un potere a vocazione “totale”.
I media e i politici italiani, anche quasi tutti quelli
dell’opposizione, e i
media e le classi dirigenti degli altri paesi occidentali sono sembrati
raccontare due storie diverse, due paesi diversi, due campagne
elettorali
diverse. In tutto l’Occidente non italiano questa non
è stata affatto
considerata come una normale campagna elettorale in cui si
confrontavano un
“centrodestra” e un
“centrosinistra”, divisi, un po’ come
ovunque in Occidente,
fra i fautori di più protezione sociale e i fautori di tagli
fiscali: questa
era la campagna elettorale raccontata agli italiani in Italia dalla
politica e
dai media italiani. Anche da quasi tutti i politici del centrosinistra,
convinti dai loro guru e per spontanea inclinazione che fosse
più fruttuoso
trattare come normale uno schieramento avverso e un leader del tutto
anormali.
In tutto il resto dell’Occidente media di destra e di
sinistra si interrogavano
stupefatti sulla possibilità che gli italiani, di destra o
di sinistra che
fossero, potessero accettare di essere ancora governati da un tizio
prosciolto
da imputazioni gravi e infamanti solo grazie ad amnistie o a
prescrizioni
(accelerate da provvedimenti legislativi tempestivamente approvati
dalla sua
stessa maggioranza), da ministri capaci di provocare crisi
internazionali e
morte in paesi lontani per il gusto di una comparsata televisiva, da
forze
politiche che ostentano orgogliosamente di avere le proprie radici
solidamente
affondate nel fascismo storico o capaci di campagne omofobe condotte
con lo
stesso stile, perfino grafico, delle campagne antisemite dei
totalitarismi
novecenteschi, da una coalizione la cui componente
“moderata” è costituita da
clericali estremisti. Da nessun organo di informazione non italiano,
proprio da
nessuno, abbiamo sentito avallare, neppure per un momento, la grottesca
leggenda italiana di un Berlusconi addirittura
“liberale” o quella, altrettanto
enorme, la più smisurata delle balle berlusconiane eppure da
molti elettori
svantaggiati creduta, di un’Italia grazie a Berlusconi
più ammirata e
rispettata nel mondo.
Gli italiani all’estero, soprattutto quelli residenti nei
paesi di più
consolidata tradizione liberale e democratica, affrancati dalla campana
mediatica sotto cui vivono i residenti in Italia, hanno avuto accesso a
queste
informazioni e si sono regolati di conseguenza, ribaltando il risultato
al
Senato. È stato anche e soprattutto per questa loro
libertà di essere informati
correttamente, sconosciuta ai residenti non particolarmente
sofisticati, che
hanno votato diversamente, e diversamente dalle aspettative di chi, un
po’
razzisticamente, li considerava tutti pizzaioli con la gondola in
vetrina e il
busto di Mussolini nel retrobottega: senza accorgersi che i
più avvertiti e
disposti alla partecipazione civile fra loro sono ormai, piuttosto,
ragazzi plurilaureati
curiosi del mondo o costretti all’emigrazione intellettuale
dal pietoso stato
in cui la ricerca scientifica è sempre più
abbandonata in patria – e abituati
da cinque anni a dover fronteggiare lo sconcerto o le ironie dei
colleghi
stranieri.
Abbiamo dunque scampato, e solo per il rotto della cuffia, il pericolo
principale per la sorte della democrazia liberale in Italia, ma
certamente non
ci consideriamo vincitori. Non ha vinto, in generale,
l’Italia democratica, che
con il berlusconismo, con il suo populismo irresponsabile e demagogico,
con la
sua totale estraneità all’ethos della
democrazia liberale, si troverà
ancora a fare i conti per anni; anzi, probabilmente per decenni, tenuto
conto
dell’imprinting
che esso ha impresso ormai su più di una generazione di
italiani, isolandola di
nuovo come già un tempo altre sfortunate generazioni di
italiani, dal resto
dell’Occidente europeo. Da queste elezioni non esce un
sistema politico
rinnovato, ma solo una risicatissima maggioranza che rappresenta quasi
l’intero
spettro dell’“arco costituzionale” della
cosiddetta Prima Repubblica (dallo
Psiup al Pdium, dicevamo settimane fa), e come tale necessariamente
eterogenea
e priva di coesione. E non esce neppure una maggioranza
parlamentare laica:
in questo campo non c’è assolutamente nulla da
aspettarsi dal prossimo
Parlamento; per i prossimi cinque anni l’Italia
continuerà ad essere il paese
più oscurantista e autoritario dell’Occidente
europeo in materia di bioetica e
continuerà a negare pari dignità sociale ai non
cattolici e a discriminare
perfino formalmente gli
omosessuali.
È stata ancora una volta sconfitta l’Italia
liberale, laica, europeista, che
anche questa volta non ha saputo darsi alcuna specifica rappresentanza
politica
unitaria in queste elezioni e tanto meno, come sarebbe ancor
più necessario e
ormai indispensabile, improntare di sé almeno lo
schieramento onnicomprensivo e
impropriamente detto di “centrosinistra”.
Sempre che la legislatura appena iniziata abbia una durata paragonabile
a
quelle che l’hanno preceduta, questo è ora il
duplice immenso compito che ai
liberali italiani dovrebbe spettare nei prossimi anni. Se è
vero che quello
dell’opinione pubblica liberale e progressista è
il settore di elettorato più
evocato e meno rappresentato nel sistema politico italiano,
è anche vero che le
risorse della sua piccola parte in qualche modo organizzata, a
cominciare da
una piccola fondazione come Critica liberale, sono, per le ragioni che
da anni
cerchiamo di spiegare e che si possono leggere nel dossier sulla nostra
fondazione, assolutamente al di sotto del minimo indispensabile. Noi
continueremo a fare quel che possiamo.
Non
ci sogniamo però di rivendicare, come fece qualcuno fra i
“nostri maggiori”, la
rappresentanza di un’“Italia vera”,
civile, laica, europea, occidentale, nel
suo profondo inconsapevolmente liberale. Siamo al contrario ben
convinti che il
berlusconismo rappresenta, ormai con tutta evidenza, un altro capitolo
dell’“autobiografia della nazione”. Un
capitolo meno ripugnante di quello
scritto ottant’anni fa, probabilmente, solo grazie ai vincoli
europei e
internazionali che nonostante tutto limitano ancora, almeno per il
momento, le
possibilità di ulteriore imbarbarimento della politica
italiana.
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