Martini, Sgreccia, la superstizione e la tortura
di
Felice Mill Colorni
C’è qualcosa di
straordinario nelle dichiarazioni del sommo interprete della bioetica vaticana
a proposito della morte del cardinale Martini, il quale, come è evidente, non
ha rifiutato l’accanimento terapeutico, ma, come già Wojtyla, un vero e proprio
trattamento salva-vita. Dice dunque il cardinale Sgreccia: «La situazione
di Welby era affatto diversa. C’erano terapie che avrebbe potuto rifiutare fin
dall’inizio, quando ad esempio venne fatta la tracheotomia. Uno può dire: vado
avanti seguendo la natura, non voglio un procedimento straordinario, essere
attaccato a una macchina. Ma una volta che è accaduto e chiedi al medico di
staccarti, allora la cosa cambia, gli chiedi di interrompere la vita, chiedi a
un altro di farti morire».
Tralasciamo il fatto che,
se non ricordiamo male, a Welby la tracheotomia fu praticata in emergenza,
quando era in stato di incoscienza, e nonostante avesse in precedenza
dichiarato di non volerla.
In sostanza l’esile
differenza fra la (quasi) santità e il sommo della nequizia starebbe solo nella
sequenza degli eventi e nella casuale circostanza di essere stati o meno
coscienti al momento dell’intervento iniziale. Da questo e solo da questo
dipenderebbe l’immoralità inaccettabile di chi pretende la cessazione della
tortura una volta iniziata, comunque iniziata.
Raramente il carattere
frivolo delle argomentazioni della gerarchia era emerso con tanta chiarezza ed
era stato esposto con tanto candore.
Come dire che, se non
si vuole essere sottoposti a una tortura a tempo indeterminato, tanto vale non
curarsi fin dall’inizio e rinunciare alla medicina moderna. Questo non è
immorale. Immorale, anzi immoralissimo, sarebbe decidere che se ne è avuto
abbastanza, o cambiare idea. Oppure non cambiarla neppure, ma essere stati
semplicemente nell’impossibilità di far valere la propria volontà nel fatale e
irrevocabile momento iniziale della terapia salva-vita.
Possibile che sia tanto
difficile capire che oggi la morte “naturale” non esiste più, se non quando
avviene all’improvviso o non si riesce a essere tempestivamente soccorsi? E che
se la tecnologia medica contemporanea ha ampliato di molto la sfera delle
possibilità umane, e ci ha così messi di fronte alla libertà, e alla
responsabilità, di compiere scelte fino a ieri indisponibili, tale libertà e
responsabilità non possono non riconnettersi a un soggetto che le eserciti? Che
questo soggetto non può essere sostituito né dalle casuali propensioni
culturali, ideologiche, filosofiche, religiose o caratteriali dei medici che
casualmente intervengono in emergenza o che furono scelti in base a tutt’altri
criteri, né dall’arbitrio di un legislatore che deciderà sempre in base a quel
che ritiene – spesso, in Italia, anche sbagliandosi del tutto – politicamente
conveniente?
Noi chiamiamo posizioni
come quella esplicitata da Sgreccia superstiziose. E – linguaggio
ecumenicamente corretto a parte – questa ci sembra essere la posizione
condivisa sia da parte di quasi tutte le Chiese cristiane riformate storiche
dell’Europa occidentale sia da parte della stragrande maggioranza degli stessi
“cattolici adulti”.
Si tratterebbe soltanto di rispettabili fissazioni superstiziose della gerarchia cattolica e dei “cattolici infanti” che ancora ritenessero di conformarsi ai suoi dettati, se queste superstizioni non fossero poste da una classe politica inetta, complessivamente indegna e zeppa di analfabeti civili, alla base di leggi che incidono ferocemente sulla vita di individui in carne e ossa che, per colpa di queste fisime superstiziose, sono costretti a vivere per anni, e poi a morire, in modo particolarmente e inutilmente atroce. “Crimini di pace”, e contro l’umanità, sarebbe giusto definirli.
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