Non
abbiamo bisogno di un’Europa federale?
di
Felice Mill Colorni
Forse
è incongruente
giudicare l’attuale governo italiano con i parametri che si
utilizzerebbero in
circostanze normali. Si tratta, dopo tutto, di un esecutivo formato con
un’unica funzione: garantire un’ultima ancora di
salvezza prima dell’apocalisse
che la conclusione della parabola berlusconiana stava portando a
compimento.
Ciò detto, è stato sconcertante, e al tempo
stesso rivelatore di quanto la
crisi della democrazia europea abbia scavato nel profondo, e di quanto
la
catastrofe italiana sia andata avanti in questi anni facendosi strada
anche
dove era meno probabile che giungesse, leggere
nell’intervista rilasciata da
Monti al quotidiano tedesco Die Welt queste parole: «Sono
convinto che non
avremo mai gli Stati Uniti d'Europa. Già solo per il fatto
che non ne abbiamo
bisogno. La sussidiarietà è il grande tema
dell’Europa, e questo vale in due
direzioni. Certi compiti che prima erano di competenza nazionale,
devono essere
trasferiti alla Comunità [sic: Gemeinschaft]
europea, e in parte è
già accaduto. Ciò che in tal senso non ha perso
nulla, deve restare agli Stati
nazionali o addirittura essere trasferito a livelli
più bassi».
Più oltre Monti riconosce che «l’Unione
europea è l’unica risposta pensabile e solida ai
problemi che pone la
globalizzazione. Non esiste un Paese in Europa che sarebbe in grado di
gestire
le sfide della globalizzazione da solo – nemmeno la
Germania».
Ma di quale Europa si sta parlando? E che senso ha parlare di
sussidiarietà al
di fuori di un contesto federale? Certo, l’Italia non
è più rappresentata da un
individuo che era ormai ritenuto infrequentabile dagli statisti degli
altri
paesi, certo la statura intellettuale e il prestigio personale di Monti
non
sono paragonabili, e certo il peso dell’Italia
nell’Unione è già enormemente
cresciuto solo per questo cambio della guardia; anzi, ha perfino
visibilmente
ridimensionato e messo in risalto la modestissima statura degli attuali
altri
capi di governo europei.
Ma che perfino Monti possa esprimersi in quel modo, che ometta di
esercitare
tutto il peso politico che ha acquisito nell’unico progetto
capace di difendere
l’esistenza presente e ancor più futura degli
europei nel mondo globale, è cosa
che lascia esterrefatti. Mossa tattica, dettata dalla preoccupazione
pratica di
non indisporre interlocutori totalmente impreparati a scelte
significative,
prigionieri come sono di scadenze elettorali e succubi della demagogia
populista? Non è comunque facendosi mettere
nell’angolo dalla ciarlataneria
dilagante, non è nascondendo ai cittadini elettori la
gravità delle scelte e
dei dilemmi che la storia pone alla politica e alle democrazie europee,
non è
continuando a rifiutarsi alla “vista lunga” che si
farà un passo avanti. Né in
Italia né in Europa. Al massimo, si sopravviverà
precariamente, si tirerà a
campare di crisi in crisi. Prigionieri di governi statali a loro volta
ostaggi
della ciarlataneria populista.
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