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Logiche conseguenze

di Felice Mill Colorni

         La nuova crociata contro l’aborto e la campagna di due anni fa per il boicottaggio del referendum sulla fecondazione assistita e sulla libertà di ricerca hanno in comune una gigantesca contraddizione. Questa contraddizione è del tutto ignorata nel dibattito pubblico e sostanzialmente occultata da quasi tutti i media, perché i teorici avversari di quelle posizioni – i furbissimi allocchi “laici ma non laicisti” del centrosinistra – hanno deciso che sia conveniente non farla rilevare e anzi eludere ogni dibattito sul tema, dibattito che, hanno decretato, va escluso dalla campagna elettorale: non hanno spiegato, peraltro, sulla base di quali criteri il Parlamento dovrebbe poi legiferare su queste e analoghe questioni. I furbissimi allocchi sono in realtà profondamente convinti che l’Italia sia tornata ad essere, come nel ’48, cattolica nel profondo; che gli elettori decisivi per la vittoria alle politiche vadano ricercati in quella piccola parte del cattolicesimo italiano che segue ciecamente le indicazioni della gerarchia; che il centrosinistra possa competere efficacemente per la conquista di quei voti con una destra che ha sposato senza riserve le tesi del clericalismo estremista; che i voti degli elettori laici siano marginali e comunque acquisiti a priori. Quindi tacciono, e lasciano risuonare incontrastata la sola voce dei clericali estremisti.

         La contraddizione ignorata e occultata è insita nel postulato stesso su cui si fonda la campagna clericale, quello che afferma che l’embrione è una persona umana. Se preso sul serio e portato alle sue inevitabili conseguenze – inevitabili, non estreme – questo postulato porta a conclusioni così aberranti che neppure il più fanatico assertore di quelle tesi è disposto ad assumersene la responsabilità.

         Non si tratta soltanto della contraddizione più evidente, quella di Ferrara che da un lato afferma che l’aborto equivale a un omicidio, anzi ad una strage senza fine, e poi però precisa: «Non chiedo nessuna abrogazione e nessuna revisione della legge. Chiedo che sia applicata integralmente. Esattamente quello che chiede la Chiesa cattolica, ciò che chiedono le istituzioni sanitarie ed i centri aiuto per la vita. Nessuna donna deve essere obbligata ad abortire, ma tutte devono essere libere di non farlo».

         Già qui non ci siamo, come è evidente: com’è possibile, se si ritiene che sopprimere un embrione equivalga a un omicidio, non chiedere che l’aborto sia messo di nuovo fuori legge? Uno che si vanta niente meno che di «avere trovato la verità sulla vita umana», uno che si ritiene una voce fuori dal coro, che finalmente proclama alta e forte quella verità evidente che gli altri tacerebbero per paura o per conformismo, perché dovrebbe poi ritrarsi di fronte a quell’ovvia, immediata, diretta conseguenza della sua scoperta?

         Probabilmente perché anche Ferrara capisce che non si potrebbe arrestare lì.

         Fino al 1975 il codice Rocco non puniva l’aborto come delitto contro la persona, assimilabile all’omicidio, ma solo come un delitto “contro la integrità e la sanità della stirpe”: una logica analoga a quella che motivava la feroce repressione dell’aborto nella Romania di Ceausescu. È per questo che l’art. 546 prevedeva che la donna che decideva di abortire e chi praticava l’aborto con il suo consenso fossero puniti con una pena edittale da due a cinque anni, cioè con una pena incomparabile a quella dell’ergastolo (ai tempi della promulgazione del codice, addirittura la pena di morte) prevista per l’omicidio volontario premeditato.

         In realtà la tesi estremista, che curiosamente nessuno neppure dibatte, perché nessuno sembra capace di prenderla sul serio, ma che è la tesi fatta propria non solo da Ferrara ma dalla gerarchia cattolica fino al suo massimo vertice, è ancor più radicale: è stato Giovanni Paolo II che ha osato comparare la legalizzazione dell’aborto avvenuta negli ultimi decenni in quasi tutto l’Occidente niente meno che allo sterminio degli ebrei ad opera del nazismo. Qui siamo perfino oltre l’omicidio volontario e premeditato: qui stiamo addirittura parlando di gross violations dei diritti umani, di quelle violazioni gravi ed efferate, quali il genocidio, l’apartheid, la tortura, le esecuzioni di massa, i trattamenti inumani e degradanti, che sono per lo più ritenute vietate non solo dal diritto interno, ma dallo stesso diritto consuetudinario internazionale. Con la conseguenza che, dovunque siano commesse, qualunque Stato sarebbe autorizzato ad esercitare l’azione penale nei confronti di chiunque ne fosse responsabile; e senza neppure termini di prescrizione, dato che questi crimini sono ritenuti imprescrittibili.

         Ammettiamo pure, anche se non è così, che il vecchio Papa avesse solo fatto uso di un’iperbole retorica (iperbole, peraltro, ripresa con l’abituale fatuità dai politici obbedienti): resta che, se l’embrione fosse considerato una persona umana, la tutela giuridica contro la sua soppressione non potrebbe essere inferiore a quella garantita a qualunque altro essere umano, e per l’omicidio volontario e premeditato la pena edittale prevista in Italia è l’ergastolo.

         Non pensino di cavarsela con l’argomento che non si può proporre di punire con una sanzione adeguata alla sua pretesa gravità oggettiva un comportamento del cui carattere criminoso è solo venuta meno la consapevolezza sociale diffusa, ottenebrata dall’eclisse dei valori tradizionali: questo argomento è stato scartato, una volta per tutte e ormai definitivamente, dai processi di Norimberga e di Tokio e da quello di Eichmann a Gerusalemme, ed è estraneo alla nostra stessa contemporaneità giuridica “relativistica”.

        Come ulteriore conseguenza necessaria, se una donna incinta tentasse senza successo di abortire, lo Stato non potrebbe astenersi dall’adottare tutte le misure di prevenzione necessarie a tutelare una vita umana che sia inequivocabilmente minacciata nella sua stessa esistenza. Data la premessa, come si potrebbe non trattenere sotto costante sorveglianza quella donna, per obbligarla poi a partorire, se necessario anche con la forza? Un essere umano può forse essere lasciato in balia di chi ha seriamente e provatamente tentato di ucciderlo?

         Ancora, quand’anche la gravidanza fosse stata causata da uno stupro, se l’embrione è una persona umana, se è “uno di noi”, anche in quel caso come si può pensare di autorizzare l’aborto? Le circostanze del concepimento possono forse avere qualche influenza sul diritto alla vita di una “persona”? Certamente no: accettato che l’embrione, e a maggior ragione il feto, è una persona, abortire un feto frutto di uno stupro sarebbe altrettanto illecito quanto uccidere un bambino nato da una violenza carnale: al massimo, si potrebbe tener conto dello stato di alterazione psichica della donna e prevedere qualche misericordiosa attenuante.

         Forse si potrebbe arrivare ad ammettere la non punibilità dell’aborto solo nel caso di un grave e provato rischio di morte per la gestante, che in quel caso, si potrebbe forse sostenere, agirebbe in stato di necessità. Ma certo la stessa conclusione non potrebbe valere nel caso di un rischio, anche molto grave, per la mera salute fisica della donna, e tanto meno di quella mentale: come giustificare la prevalenza della tutela della salute della gestante su quella della vita stessa di un’altra “persona”? Mancherebbe del tutto il requisito della necessaria proporzionalità fra soppressione di un’altra vita e entità del pericolo corso dalla donna (art. 54 cod. pen.).

         Neppure da prendere in considerazione l’aborto in caso di gravissime malformazioni del feto, anche tali da renderne certa una sopravvivenza brevissima ed estremamente dolorosa o una vita atroce: è forse lecito uccidere un disabile? Via quindi alla procreazione irresponsabile: un comportamento feroce dal punto di vista di chi, anche senza pretendere che questa sia una verità etica autoevidente, ritenga che mettere al mondo un bambino sapendo che nascerà gravemente menomato e potendolo prevenire sia un atto appena meno iniquo che provocare artificialmente la stessa infermità in un bambino sano.

         E non è neppure finita. Una volta stabilita l’assurda equiparazione fra embrione e persona umana, come sarebbe possibile rispettare una legge dello Stato che autorizzi l’omicidio di massa degli embrioni? A una legge del genere sarebbe anche giuridicamente illecito prestare obbedienza e moralmente obbligatorio opporsi attivamente. Se l’embrione è una persona umana, l’aborto è un omicidio, la legge che lo autorizza è una legge che legalizza una strage e chi la applica è un assassino, anzi uno sterminatore come Eichmann.

         Un’ultima conseguenza aberrante, ma niente affatto forzata o estrema, anzi logicamente inevitabile, si impone infatti a chi sostiene l’aberrante postulato di partenza. Altro che fare un po’ di agitazione politica e arrestarsi poi a un passo dalla richiesta che l’aborto torni semplicemente illegale e clandestino: se Ferrara, i prelati vaticani e i politici obbedienti prendessero sul serio quel che dicono, non potrebbero certo fermarsi lì, ma dovrebbero varcare la stessa soglia che è stata attraversata in più occasioni da qualche militante della destra religiosa estremista negli Stati Uniti. Dovrebbero porsi seriamente il compito di fermare la “strage”, con ogni mezzo possibile. Perfino un nonviolento religioso radicale come Gandhi riteneva che vi fossero due casi in cui uccidere è non solo lecito, ma addirittura moralmente doveroso: uno era per lui, in determinate circostanze, l’eutanasia; l’altro, credo condivisibile da chiunque, la legittima difesa di un terzo quando non vi sia alcun altro mezzo possibile per impedirne l’assassinio. Di fronte a un omicidio che è sul punto di essere perpetrato, se non vi è altro mezzo a disposizione per fermare la mano dell’assassino, sparargli prima che uccida a sua volta un innocente è lecito e anche moralmente doveroso. E che cos’altro potrebbe fare, per “fermare la strage”, il cittadino di uno Stato dove vige una legge che autorizza l’omicidio di massa? Non potrebbe certo chiamare la polizia, per impedire una strage che è tuttavia legale. Dovrebbe fare quel che un onesto, illuminato ed eroico cittadino tedesco avrebbe potuto e dovuto fare di fronte ad Auschwitz: fermare la mano del boia, se necessario, con la violenza. (E si noti che proprio Ferrara, tempo fa, pretendeva che si mettesse la sordina alla denuncia delle nefandezze del berlusconismo, sostenendo che chi “demonizzava” Berlusconi e la sua consorteria si assumeva la pesante responsabilità di rischiare di metterne in pericolo l’incolumità personale, dato che qualcuno avrebbe potuto pensare di doverlo far fuori: e nessuno dei “demonizzatori” aveva sostenuto che Berlusconi e i suoi sodali fossero responsabili di assassinii di massa).

         Una conclusione estremistica? Troppo consequenziaria? Aspetto che qualcuno dei frivoli polemisti che affermano che l’embrione è “uno di noi”, che l’aborto è un omicidio, e che la legislazione che consente l’aborto permette un genocidio, mi spieghi come può poi sottrarsi a queste aberranti conclusioni.

         Anche se i nostri furbissimi allocchi “laici ma non laicisti” avrebbero il terrore di affermarlo, la risposta da dare è che le conclusioni sono aberranti perché aberrante è il postulato di partenza.

         Questo viene presentato non come una verità dogmatica propria della fede cattolica, ma come un fatto di natura, accertato dalla scienza. Et pour cause: solo affermando che si tratta di una evidenza naturale, oggi chiara grazie alla ricerca scientifica, la gerarchia cattolica può giustificare il fatto che l’aborto non fosse stato considerato un omicidio dagli stessi suoi predecessori, teologi papi vescovi e concili, fino al XVII secolo (salvo qualche raro accenno di segno diverso), e che questa tesi non sia diventata dottrina ufficiale che ai tempi di Pio IX, per essere poi recepita nel codice di diritto canonico solo nel 1917.

         Purtroppo per la gerarchia e per la sua esagitata e servile claque politico-mediatica italiana, questa evidenza “scientifica” non può essere avallata dagli scienziati, che, in quanto scienziati, possono dire che cos’è uno zigote, una morula, una blastocisti, un embrione, un feto, un individuo, ma non possono certo definire che cosa sia una “persona umana”, che non è un concetto scientifico; né questa pretesa evidenza è vissuta come tale dalla generalità dei credenti e non credenti, e neppure dei cattolici; e non corrisponde neppure agli orientamenti prevalenti in Europa fra i cristiani protestanti, a cominciare in Italia dai valdesi (anche se in Italia il radicato pregiudizio filocattolico induce il sistema politico-mediatico a definire “protestanti” essenzialmente i letteralisti neoevangelicali – che per lo più rifiutano la qualifica di protestanti pretendendo quella di “cristiani” – spesso inglobandovi per ignoranza anche l’ala cattolica della “destra religiosa” americana, mentre chiama genericamente “cristiani” i protestanti di cui non si può che dir bene, dal dott. Schweitzer a Dietrich Bonhoeffer, dalla gran parte della Rosa bianca tedesca a Martin Luther King).

         Il carattere estremista e infondato del postulato di partenza è del resto svelato dagli stessi comportamenti sacramentali e liturgici della Chiesa cattolica, che non battezza i feti, non celebra tradizionalmente funerali religiosi neppure di feti abbastanza sviluppati da poter essere confusi dai profani con quelli degli scimpanzé (suscitò scalpore tempo fa l’isolata ma coerente iniziativa controcorrente del vescovo dell’Aquila, e se solo ora l’uso comincia a diffondersi è perché si tratta di una pratica essenzialmente politica) e segue il comune sentire quando si guarda bene dal considerare evento luttuoso il mancato annidamento naturale di una blastocisti nell’utero materno e la conseguente “morte” della “persona” in questione: una sorte che, riguardando circa l’80% dei concepimenti, dovrebbe far precipitare l’umanità intera, a cominciare da ogni giovane coppia, in un lutto ricorrente, ossessivo e pressoché perpetuo.

         Invece dovremmo giubilare: con una moltiplicazione strutturale della natalità per cinque, la vita umana sulla terra sarebbe già cessata da tempo; e non godrebbe certo di buona salute neppure con il miliardo di abitanti in più di cui Ferrara depreca la mancanza per effetto degli aborti effettuati negli ultimi decenni.

         Proprio quest’ultimo elemento dovrebbe imporre una valutazione più realistica del problema: è per la natura stessa che l’embrione, finché è solo tale, è solo un tentativo, che ha ancora un “valore” trascurabile. Ma un embrione che non abbia ancora sviluppato neppure un abbozzo di sistema nervoso merita anche la nostra compassione meno di quanto la meriti un animale senziente, dato che quest’ultimo, almeno dal punto di vista fisico, è almeno capace di provare dolore in modo probabilmente simile al nostro. Pretendere che addirittura un insieme di cellule della grandezza di meno di un millimetro abbia lo stesso valore di un essere umano è una pura e semplice sciocchezza, come dimostra il dilemma, più volte proposto, dell’incendio che renda solo possibile, alternativamente, il salvataggio o di un bambino vivo e frignante o di una provetta contenente decine o centinaia di embrioni: per chi condivida le opinioni di Ratzinger e Ferrara è inevitabile dare la precedenza alla provetta e lasciar bruciare vivo il bambino, dato che salvare centinaia di “persone” è meglio che salvarne una soltanto. È un punto di vista analogo alle teorizzazioni estreme di quegli animalisti, “vegani” etici, per i quali friggere un uovo equivale a tirare il collo a una gallina. A uno stadio di sviluppo inferiore a quello di un animale senziente, l’embrione non dovrebbe invece avere, né gli è stato storicamente attribuito nel passato (quando la stessa Chiesa cattolica lo considerava ancora “inanimato”), un valore in sé superiore a quello di un pollo. Ma meno approssimativo sarebbe il paragone con un celenterato.

           Un valore, grandissimo, può invece essergli soggettivamente attribuito, com’è ovvio, dalla gestante, nella speranza che si sviluppi e nasca: ma solo se e purché sia lei a nutrire una tale speranza, nel quadro di un rapporto affettivo che ha carattere necessariamente unilaterale. E infatti l’aborto procurato contro la volontà della donna è giustamente considerato da tutti un grave delitto.

        E se i progressi degli ultimi anni rendono possibile la sopravvivenza (in condizioni il più delle volte atroci) di feti sempre più immaturi, piuttosto che di ridurre i termini entro cui la donna può ottenere l’interruzione della gravidanza, ci si dovrebbe semmai preoccupare di favorire una decisione quanto più rapida possibile, anche tramite una più tempestiva effettuazione dei test che si rendano necessari ed opportuni, in modo da escludere del tutto qualunque ipotesi, per quanto remota, di sofferenza fisica da parte di embrioni che abbiano già sviluppato un sistema nervoso, tenuto conto della sempre più diffusa sensibilità di tipo “animalista”.

        Ma naturalmente la via maestra per prevenire gli aborti dovrebbe essere la capillare diffusione di informazioni e mezzi atti a prevenire gravidanze indesiderate e malattie a diffusione sessuale, con la più ampia presenza di distributori automatici di preservativi e l’abolizione dell’obbligo di ricetta per l’acquisto della pillola del giorno dopo, come già accade in altri paesi. Ma questo è esattamente quel che il cattolicesimo ufficiale e i suoi terminali nella politica aborrono, perché la grande sollecitudine per i feti nasce proprio dalla volontà di restaurare artificiosamente un predominio politico e culturale tramontato e di rafforzare i privilegi e le esazioni economiche imposte a carico dell’intera collettività secolarizzata (un po’ come facevano i sovrani islamici ai danni delle popolazioni cristiane dominate); e di riportare in auge tutte le manie, le fissazioni, i pregiudizi, le discriminazioni di una morale sessuale tradizionalista e da decenni ultraminoritaria: e neppure attraverso l’educazione o il convincimento, ma solo cercando di danneggiare materialmente l’esistenza di chi non vi si adegui.

        Purtroppo i nostri furbissimi allocchi rinunciano a servirsi dei facili argomenti di cui dispongono, come di tutti gli argomenti con cui la civiltà illuministica e liberale ha consolidato la modernità nel resto dell’Europa occidentale.

        Anche all’epoca del referendum sulla fecondazione assistita, invece di contrapporre le ragioni della laicità a quelle del clericalismo, il centrosinistra ha mandato in pista, a difendere le ragioni del “Sì”, più che i sostenitori della laicità quelli dei “compromessi alti” con gli oscurantisti, che riteneva meglio in grado di far breccia nell’elettorato cattolico: le loro circonvolute elucubrazioni finivano solo per smontare l’entusiasmo dei reduci di tante battaglie civili, convincendoli che, per andare a votare, questa volta c’era bisogno almeno di una laurea in microbiologia e di un master in bioetica.

        Ora restano afasici di fronte a chi li intimidisce ricordandogli che tutti un tempo siamo stati embrioni. Non sarebbe tanto difficile rispondere che, se è per questo, prima ancora siamo stati anche polvere. E polvere torneremo. Ma questa non è una buona ragione per idolatrare la polvere.

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Da MicroMega, numero speciale 29 febbraio 2008, “Il Papa oscurantista. Contro le donne, contro la scienza”.


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