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Una definizione di comunismo

di Felice Mill Colorni

Una definizione di comunismo? Un regime in cui i titolari di tutto il potere politico, cioè i governanti, sono anche titolari di tutto il potere economico e di tutto il potere sui media, quindi su tutto: per i governati, quindi, non resta che la prospettiva della privazione di ogni libertà e della miseria generalizzata. A meno di non credere alle favole, e a una concezione puerile della democrazia: una democrazia capace di sopravvivere senza garanzie di libertà sorrette da poteri contrapposti, e in cui governanti e governati semplicemente coincidano (una favola grottesca, dopo l’esperienza del Novecento buona solo per ciarlatani populisti e per i gonzi più sprovveduti). Nel mondo occidentale degli ultimi anni, quel che si è avvicinato di più, da questo punto di vista, a un regime comunista (senza ovviamente poterlo neppure lontanamente uguagliare) è stato proprio il berlusconismo: massima, anche se non totale, concentrazione nelle stesse mani di potere politico, economico e mediatico, una cosa mai vista prima in Occidente. Dopo di che, è lecito paragonare fra loro realtà storiche oppure dottrine politiche; è invece intellettualmente disonesto paragonare fra loro realtà storiche, con tutti i loro limiti, e dottrine che prevedano il paradiso in terra senza fare i conti con la realtà. La realtà delle imperfette democrazie liberali può essere paragonata soltanto alla realtà storica del comunismo reale (che ha prodotto schiavitù e miseria sia nei paesi che erano molto arretrati sia in quelli che erano fra i più economicamente avanzati al mondo al momento della sua instaurazione, come la Cecoslovacchia o la Germania orientale). Va bene come definizione?



Caro XY, purtroppo la lettura delle definizioni di uno o più vocabolari non può surrogare le carenze di una cultura politica. Non sarà difficile trovare anche in rete tanta bibliografia sulla storia contemporanea, sulla storia delle dottrine politiche ed economiche, sulla comparatistica politica, sul costituzionalismo comparato, sulla sociologia politica. Buon lavoro, ai tantissimi che devono farsi un’idea di base, che scuola e università non sembrano in grado di fornire ai più. Per intanto, cerchi di rileggere quel che avevo scritto: le dottrine politiche sono una cosa, le realizzazioni cui danno vita, una volta messe alla prova della storia, un’altra. Ci sono dottrine politiche – il comunismo è una di queste – che, non sapendo e non potendo fare i conti con la realtà e la storia, non curandosi della natura effettiva dei rapporti sociali e della sociologia del potere, credendo di poter fare a meno di un alto grado di poliarchia e di divisione dei poteri a garanzia delle libertà, hanno generato mostri: oppressione, miseria, guerre, gulag, torture, spesso stragi di massa. Abbracciare sogni la cui realizzazione ha sempre e solo generato catastrofi non è responsabile. E d’altra parte non mi stupisco, perché l’irresponsabilità assoluta è la cifra della realtà politico-economico-culturale italiana attuale pressoché in ogni settore. Non è un comportamento responsabile, soprattutto, dopo che l’esperimento è stato fatto, molte volte, in larghe e diversissime parti del mondo, al prezzo di milioni di vite umane. È più che ovvio che i primi teorizzatori del comunismo non desiderassero affatto quel risultato, e che non l’avessero affatto previsto: ma, appunto, sono stati smentiti, e le loro teorie sono state confutate, dall’esperienza storica – come molti dei loro oppositori avevano del resto previsto in anticipo, con lucidità molto maggiore. Poi lei è libero di cercare nei vocabolari la definizione di quel che questo o quel pensatore avrebbe desiderato. Però è totalmente inutile, se non da un  punto di vista meramente accademico o speculativo (a questo fine, però, le definizioni dei vocabolari sono di molto scarsa utilità). Inutile, cioè, per le scelte della politica: perché quelle ricette, applicate nei modi più vari e nei contesti più diversi e per parecchi decenni, si sono dimostrate irrealizzabili e sbagliate. Il comunismo reale è quello che è stato nella storia, ovunque sia stato sperimentato. Il resto era una fantasia che si è fatta lager.

En passant: 1) ovviamente non ho scritto – rilegga – che B sia o fosse comunista, ma che in Occidente nessuno è arrivato come lui a realizzare una concentrazione nelle stesse mani di potere politico, economico e mediatico tale da avvicinarlo (ovviamente da lontano) alla caratteristica – alla caratteristica reale – che a un liberale come me può apparire come la più saliente delle dittature comuniste; 2) il capitale umano – tecnologico, imprenditoriale, scientifico, economico – della Germania orientale alla fine della seconda guerra mondiale non era per nulla inferiore a quello della Germania occidentale, e le differenze di sviluppo successive non dipendevano quindi da una rilevante differenza nei punti di partenza; e prima del comunismo la Cecoslovacchia era stata – e fin dall’epoca dell’Impero austro-ungarico – una delle regioni industriali più sviluppate e avanzate d’Europa.

A questo punto però mi scuserà, ma, come avrà capito, la mia fallibile opinione è che lei abbia bisogno di pensarci su un po' prima che abbia senso continuare una discussione. Magari ne riparliamo fra un annetto, se le va.

24-25 agosto 2012

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