Bipartitismo
e pluralismo
di
Felice Mill Colorni
(...)
Anche
molti fra coloro
che sono stati tutt’altro che entusiasti della vittoria
clericopopulista si
sono detti soddisfatti dell’emergere in Italia di un
tendenziale bipartitismo e
della conseguente “semplificazione” del sistema
politico italiano che questo
starebbe ora comportando.
Dopo
quindici anni di
chiacchiere superficiali sui sistemi elettorali, quel che sembra
essersi
sedimentato è che qualunque semplificazione e qualunque
tendenziale
bipartitismo vanno bene comunque, indipendentemente dalla
qualità dei
protagonisti rimasti in gioco. Ragionando in questo modo rozzo, avrebbe
costituito un vantaggio anche una ipotetica riduzione del sistema
politico
italiano a una scelta fra un partito neonazista e uno neostalinista.
Qui
non si tratta di
stabilire in astratto se il bipartitismo sia in teoria migliore del
multipartitismo. Non si tratta neppure soltanto di fare i conti con
l’obiezione, tutt’altro che campata per aria, sul
rischio che la mancata
rappresentanza del comunismo estremista non possa rendere probabile
l’esplosione diretta nella società italiana dei
conflitti non rappresentati:
come è accaduto trent’anni fa, quando pure
l’estremismo comunista era dotato
del “diritto di tribuna”, ma il conflitto politico
e sociale sembrava bloccato
come oggi.
Qui
si tratta di
stabilire se un paese dell’Europa del XXI secolo,
anziché poter scegliere, come
in tutto il resto dell’Occidente liberale, fra un
centrodestra essenzialmente
un po’ più liberista in economia e un
centrosinistra essenzialmente un po’ più
liberale in materia di rapporti civili e di protezione sociale, possa
permettersi di farsi invece alternativamente governare o da
un’alleanza
populista, refrattaria a ogni minimo standard europeo di decenza ed
educazione
civica, protezionista, antieuropea, estremista clericale, razzista e
omofoba, oppure
da una coalizione clerico-moderata (anche con qualche minoritaria
presenza
laica, ma ampiamente controbilanciata da un’assai
più forte rappresentanza di
clericali estremisti ampiamente presenti anche lì), composta
nella sua quasi
totalità dagli eredi della Dc e del Pci: una coalizione,
quest’ultima, che si
propone di modernizzare e liberalizzare il paese dal punto di vista
economico
senza modernizzarlo dal punto di vista dei diritti civili (inevitabile
risultato, questo, delle “mediazioni” in materia
che il partito si riserva di
operare in autonomia dalla volontà degli elettori dopo ogni
votazione),
esperimento certamente originale, perché privo di altri
esempi in Europa e in
Occidente.
In
questo scenario
italiano, uno dei due poli del sistema non corrisponde a nulla di
conosciuto
nel resto dell’Occidente, dove forze politiche corrispondenti
alla destra
italiana – corrivamente definita
“centrodestra” da commentatori cui verrebbe
voglia di chiedere dove mai vi vedano qualche elemento centrista in
senso occidentale
– certamente esistono, e quasi ovunque, ma ovunque confinate
a frange
emarginate e lunatiche. L’altro polo corrisponde
più o meno a quel che negli
altri paesi occidentali è un sistema politico intero. Con
una differenza: in
materia di libertà civili legate ai processi di
secolarizzazione – le
“questioni etiche controverse” che nel linguaggio
della politica americana sono
in genere definite “social
issues”
– le posizioni del Pd – non quelle della Binetti,
non quelle di Franceschini, non quelle di Rutelli, non quelle della
Bindi, ma
quelle di quasi tutti gli ex Ds – si collocano nettamente a
destra di tutte le
destre di governo, attuali o potenziali, di tutti i paesi
dell’Europa
occidentale. Forse con la sola eccezione della piccola e periferica
Irlanda.
Purtroppo
in Italia,
dopo un quindicennio di rimbambinimento politico televisivo, non ne
è più
consapevole quasi nessuno. La cortina d’incenso scesa
invisibile sulle Alpi
rende la realtà del resto dell’Europa occidentale
lontana e ignota agli
italiani, anche a quelli meno disinformati. Perfino la
realtà degli altri paesi
europei viene filtrata, falsificandola totalmente, alla luce del
drogato
dibattito politico-culturale italo-italiano. Così, ancora
all’indomani delle
recenti elezioni politiche spagnole, il principale quotidiano italiano
titolava
in prima pagina a quattro colonne sulla nuova fase di scontro fra il
governo
socialista e la Spagna cattolica. Purtroppo nessun italiano sembra
consapevole
che in Europa a fare eccezione non è la Spagna, ma
l’Italia. Chi, avendo letto
le cronache e le dichiarazioni dei politicanti italiani sulle vicende
spagnole,
sarebbe disposto a immaginare che, nei due confronti televisivi di
un’ora e tre
quarti ciascuno fra Zapatero e Rajoy, l’aggettivo
“cattolico” non è mai stato
nemmeno pronunciato? Che nessuna polemica sulle riforme laiche che, a
sentire i
media e la politica italiana, lacererebbero la società
spagnola da quattro anni
a questa parte è stata non diciamo sollevata, ma nemmeno
sfiorata, nemmeno
evocata, dal capo della destra spagnola? Che è stato solo
Zapatero a
menzionarle di sfuggita, e solo per accusare il suo avversario, che si
è ben
guardato dal riprendere l’argomento, di avere votato contro
le riforme laiche e
liberalizzatrici?
Paradossalmente,
a
sostegno della tesi che il pluralismo in materia di questioni etiche
controverse che si registra – solo molto parzialmente, come
detto – nel Pd non
sarebbe poi così straordinario, e che sarebbe del tutto
normale costringere i
poveri elettori laici italiani a mangiare quella minestra o a saltare
dalla
finestra, i suoi estimatori sono soliti far riferimento proprio a non
meglio
precisati modelli esteri: operazione possibile solo confidando
nell’ignoranza
diffusa e nelle scarse competenze linguistiche del pubblico italiano.
Intanto
il bipartitismo
in generale è sostanzialmente inesistente nel resto
d’Europa. In Gran Bretagna
un sistema elettorale che lo favorisce consente per lo più
governi stabili solo
perché Scozia, Galles e Irlanda del Nord sono molto meno
popolosi
dell’Inghilterra ed eleggono quindi un numero assai minore di
deputati:
altrimenti, se per esempio gli scozzesi fossero altrettanto numerosi
quanto gli
inglesi e i risultati elettorali proporzionalmente pari agli attuali,
le
elezioni politiche non deciderebbero la composizione del governo
britannico,
che potrebbe emergere, salvo il caso di sensazionali vittorie o
sconfitte di
conservatori e laburisti, solo dai negoziati successivi fra laburisti,
conservatori e nazionalisti scozzesi, con questi ultimi a fare sempre
da king-makers
(in un tale scenario
probabilmente salirebbe di molto anche il voto libdem).
Ma,
per quel che
riguarda l’asserita normalità di un pluralismo
interno ai partiti sulle
questioni etiche controverse (sia pure sbilanciatissimo sul versante
clericale
estremista come nel caso italiano), il solo paragone possibile non
è con alcun
paese dell’Occidente europeo, ma solo con gli Stati Uniti. Si
tratta però di un
colossale equivoco. A prima vista può anche sembrare che
l’esempio calzi:
esistono nel Partito democratico Usa singoli esponenti politici
contrari alla
depenalizzazione dell’aborto e ai diritti dei gay, come
esistono casi opposti
all’interno del Partito repubblicano. Non
c’è però affatto simmetria: il
movimento che è il baluardo del tradizionalismo americano,
la “destra
religiosa”, è repubblicano senza defezioni (e
infatti John McCain, che le è
sempre stato profondamente estraneo, ha cercato in qualche modo di
recuperare,
vantando per esempio un assai improbabile riorientamento, come si dice,
“pro-life”);
e i più accesi
sostenitori della separazione fra governo e chiese sono concentrati nel
Partito
democratico, come lo sono la stragrande maggioranza dei militanti gay e
di
quelli “pro-choice”
in materia di aborto, i movimenti dei malati favorevoli alla ricerca
sugli
embrioni, ecc.
L’innegabile
pluralismo interno che pure caratterizza su
questi temi i due partiti americani nasce però da una
caratteristica del
sistema politico Usa che non ha riscontro in nessun paese europeo, ma
che potrà
semmai estendersi all’Europa se e quando l’Ue si
dovesse dare un vero sistema
politico unitario (e ce ne sono già segni evidenti nei
“partiti” europei,
popolare liberale e socialista, che per ora sono solo confederazioni
molto
lasche di partiti nazionali). I due partiti americani sono la
risultante di più
di cinquanta competizioni elettorali diverse che si svolgono in
altrettante
diverse arene elettorali (i cinquanta Stati più Washington
D.C., più Puerto
Rico e altre dipendenze minori), caratterizzate da storie,
società e valori
molto eterogenei fra loro. Per questo, a livello federale, si ritrovano
poi
nello stesso Partito repubblicano politici di New York o della
California che,
se fossero contrari alla parità di diritti per i gay come la
maggior parte dei
loro compagni di partito, non avrebbero alcuna chance
nei loro Stati; e in quello
democratico politici almeno moderatamente “pro-life”,
che da sostenitori
della libertà di aborto avrebbero poca fortuna in Alabama.
Ma non accade che vi
siano democratici anti-gay di qualche rilevanza in California o
repubblicani
favorevoli all’aborto minimamente rilevanti in Alabama.
Se e quando esisterà un
sistema politico unitario
comprendente insieme Francia e Polonia, Olanda e Irlanda, i partiti
europei
saranno probabilmente altrettanto complessi, dato che è
probabile che i
rappresentanti relativamente più laicisti della Polonia e
dell’Irlanda si
ritroveranno assieme ai laicissimi francesi, mentre i tedeschi della
Cdu, tutti
laicissimi se misurati secondo gli standard italiani, si ritroveranno
nel Ppe
assieme a polacchi e irlandesi altrettanto clericali quanto gli
italiani.
In
un paese in cui le
divisioni territoriali non corrono più sull’asse
secolarizzazione /
tradizionalismo (dato che anzi sono proprio le parti più
moderne e
secolarizzate del paese ad esprimere, per una distorsione tutta interna
ad un
autistico sistema politico-mediatico, la classe politica più
clericale), un
bipartitismo tendenziale incentrato sugli attuali due soggetti
predominanti
nella politica italiana equivale ad
un’anacronistica camicia di forza che
inchioderebbe, e a questo punto
probabilmente inchioderà, l’Italia a
un’identità politica antimoderna che non
corrisponde minimamente alla realtà sociologica del paese e
che soprattutto
costringerebbe, probabilmente costringerà, gli elettori
anche negli anni a
venire a non poter scegliere che fra due soggetti, l’uno
repellente per
qualunque europeo minimamente affezionato a standard minimi di decenza
civica,
estraneo anche l’altro a una moderna democrazia liberale.
Ma
è proprio questo il
futuro che l’annunciato ed auspicato “accordo sulle
regole” (proprio sulle
regole!) fra i neo-eletti governanti arabi e il Pd sta preparando per
questo
disgraziatissimo paese.
Da
Critica liberale, n. 149, marzo 2008.
I file pubblicati su questo sito da Felice Mill Colorni sono
rilasciati con licenza
Creative
Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia
License.
Diritti di utilizzo ulteriori possono essere
richiesti a http://www.felicemillcolorni.it/Contatti.html.