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Antropologia e autobiografia della nazione negli anni di fango

di Felice Mill Colorni

[Sulle polemiche relative all’esecuzione manesca dell’affidamento di un minore effettuata all'uscita di scuola e sul comportamento di un ispettore di polizia]

«Sono un ispettore di Polizia, lei non è nessuno». Una frase così dovrebbe comportare da sola il licenziamento in tronco di una persona palesemente al di sotto delle sue responsabilità, totalmente inadeguata al suo ruolo e davvero rappresentativa dell’Italia dei nostri anni di fango.

[In risposta a qualche obiezione mossa su Facebook al post precedente].

Io infatti non mi sono sognato di entrare nel merito della vicenda, delle ragioni delle parti coinvolte nella controversia (prima facie tutte comunque prevalentemente in torto, per quel che può valere un giudizio a distanza). E neppure sulle stesse modalità di esecuzione dell’intervento, ordinate a dei poliziotti che non hanno nessuna colpa per il fatto di essere inevitabilmente privi della professionalità necessaria a operare con dei minori, ecc. ecc. Mi sono limitato a giudicare repellente e assolutamente inammissibile la frase citata – e che tutti hanno potuto udire testualmente – che a mio avviso non può essere in alcun modo “tradotta” o edulcorata, o giustificata dall’emozione del momento, e che esprime piuttosto, e purtroppo alla perfezione, un’intera concezione, purtroppo tipicamente italiana (almeno fra i paesi di democrazia occidentale, ammesso che l’Italia ne faccia ancora parte), dei rapporti fra autorità e cittadini. Una concezione radicata nella tradizione autoritaria e controriformista dell’Italia, che mezzo secolo di stentata democrazia aveva ridimensionato e arginato e che è stata rilegittimata una volta di più nei nostri anni di fango (non diversamente, in questo, da quel che aveva fatto a suo tempo il fascismo): e senza che gli italiani, anche molti italiani fra i più insospettabili, siano minimamente consapevoli di questa regressione. A parte il fatto che chi fa quel mestiere deve prima di tutto saper controllare le proprie reazioni emotive molto più di un semplice cittadino privato; a parte il fatto che, a differenza di un privato cittadino, un poliziotto agisce come mandatario di noi tutti, e le sue reazioni non possono quindi essere valutate sulla base dello stesso metro con cui si giudicano i comportamenti dei privati: da parte di un rappresentante dello Stato che agisce avvalendosi dei poteri coercitivi conferitigli dalla legge, non è tollerabile un linguaggio che sarebbe stato censurabile perfino ai tempi del marchese del Grillo nello Stato Pontificio. Per un linguaggio del genere non credo che possano esserci giustificazioni o attenuanti di sorta. Anche se capisco che ormai, nell'Italia di questi anni, alle parole non si conferisce più da tempo la minima importanza.

 
11-15 ottobre 2012

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